mercoledì 26 maggio 2010

Tra naturalismo e dimensione onirica: la trasfigurazione del paesaggio sul filo del visionario

Dante Gabriele Rossetti, Ecce ancilla Domini

L’ arte visionaria ha vissuto il suo Medioevo a partire dall’ implicita condanna del Cristianesimo, per cui la dimensione dell’ inconscio poteva esistere soltanto fino a quando rimaneva entro i confini del folklore e della decorazione: esso si faceva sostenitore invece di una produzione artistica dalla funzione propagandistica e didascalica. Con il passare dei secoli, e il progressivo imporsi di un fenomeno di laicizzazione, l’ arte non è più solo plasmatrice di anime, potente mezzo con cui la Chiesa mantiene il controllo spirituale sui suoi fedeli, ma cambia radicalmente obiettivo, e i suoi destinatari diventano gli esponenti della classe dirigente: agli artisti sarà richiesto di stimolarne la curiosità e allontanarne la noia quotidiana. La cultura romantica fra Settecento e Ottocento è quella in cui l’ arte visionaria si impone con tutta la sua forza, con la vitalità e l’ innovazione di secoli di segregazione: nelle opere di Fussli, Blake e Friedrich si colgono mondi effimeri come gli spettri dell’ irrazionale. La figura femminile pallida e malinconica introdotta dai Preraffaelliti vive a metà fra realtà e sogno, e davanti a lei in maniera lampante si intuisce che la Ragione non basta a se stessa. I simbolisti creano “quadri per sognare”, come dirà Hodler, e utilizzano la realtà sensibile come insieme da cui attingere i mezzi figurativi per esprimere l’ idea. Nel Novecento saranno i surrealisti, rivendicando le proprie radici nella tradizione visionaria precedente, a proporre nuovamente quello scavo nella psiche che si manifesterà con la definitiva e totale trasfigurazione delle figure a segni dettati dai flussi dell’ immaginazione.

Ferdinand Hodler, Il sogno

Significativo per comprendere questo processo è il percorso di trasfigurazione subìto dallo spazio paesaggistico.
Già nei quadri di Friedrich lo spazio, nonostante sia ancora raffigurato in maniera realistica, assume una dimensione che è piuttosto una raffigurazione dell’ interiorità dell’ uomo e del suo sentirsi immensamente piccolo di fronte alla grandezza e alla potenza della Natura: nel dipinto Monaco in riva al mare (1808-1809) protagonisti sono il mare e il cielo, e la figura umana sparisce in questa immensità.Ma notevole è il confronto fra i quadri di Constable Il carro del fieno (1821) e di Turner Negrieri buttano in mare morti e moribondi (1840): nell’ arco di meno di 20 anni si è passati dalla rappresentazione di un paesaggio di un realismo quotidiano alla quasi cancellazione del soggetto e dei suoi particolari, che diventano tutt’ uno con il sentimento evocato dal dipinto, il veliero è impercettibile e si confonde con i colori e le linee della bufera. Sono ormai aperte le porte di quella totale trasfigurazione che porterà l’ artista a raffigurare più che paesaggi della Natura, paesaggi dell’ anima. Ad un primo impatto ancora legati ad una sorta di realismo, i Preraffaelliti, rifacendosi a tutta quella pittura ante Raffaello, che ritenevano modello più che formale, etico e di semplicità spirituale, rivestono la stilizzazione degli ambienti di una sensibilità malinconica: ne è esempio Ecce ancilla Domini (1850) di Rossetti, in cui la ripresa raffaelliana è visibilissima nell’ impostazione arcaica ma l’ espressione di questa vergine rimanda sicuramente ad un piano terreno che esprime la sgomento tutto umano all’ annuncio dell’ arcangelo; persino ne Le nostre coste inglesi (1852) di Hunt la resa naturalistica e paesaggistica ha un preciso significato e sottolinea l’ importanza della Natura come modello di purezza e di bellezza.

Odilon Redon, Silenzio

Con il simbolismo si ha la vera e propria rottura: Hodler nel Sogno (1897) ripropone le dimensioni gerarchiche dei personaggi e, fedele alle primigene istanze del Simbolismo, utilizza solo quei segni che sono necessari ad esprimere l’ idea principale, anche nella raffigurazione del paesaggio, ridotto ad una serie di linee semplici ma evocative.
Nelle opere di Henri Rousseau, vissuto a Parigi a cavallo fra Ottocento e Novecento, la ricerca della massima purezza formale è intesa nel senso di una rappresentazione ieratica che permetteva di evidenziare il soggetto, e che rendeva l’ ambientazione del quadro attraverso segni ed immagini in un certo senso “ingenue”, come ne La zingara (1897) dove si respira un’ atmosfera quasi onirica, surreale, orientaleggiante per il notturno nel deserto e per il leone e per le vesti del personaggio, dove linee decise e marcate suggeriscono i contorni di quello che è un paesaggio che proviene dal mondo interiore e non da quello esteriore delle apparenze.
La vera e propria visionarietà si raggiunge con il surrealismo figurativo, la cui caratteristica è quella di utilizzare forme “di questo mondo” che però trasportano l’ osservatore in una dimensione che non è quella umana, ma è artificiale, composita, è quella del sogno e della casualità del subconscio, dove comunque ogni figura ha il suo significato. “Bello come l’ incontro fortuito di una macchina per cucire e di un ombrello sopra un tavolo operatorio”, così i surrealisti intendono la loro arte. Il distacco dal mondo reale si nota ne La persistenza della memoria (1931): Dalì crea attraverso un “metodo spontaneo della conoscenza irrazionale” quadri in cui non è possibile uscire dall’ ambiguità della visone; lo sfondo è ridotto ai minimi termini e non ha più niente a che vedere con il realismo che aveva animato l’ arte ottocentesca di Courbet; la Natura scompare e al suo posto appare uno spazio totalmente onirico ed irrazionale. Magritte invece preferisce non allontanarsi dalla resa realistica, ma mette in discussione lo stesso mondo reale facendo in modo che con le sue opere l’ intelligenza dell’ uomo non venga costretta entro ambiti visuali predefiniti ed imposti ma tenda alla libertà. La condizione umana (1933) è preciso dal punto di vista formale, ma si capisce subito che non ci troviamo di fronte ad uno spazio umano bensì ad uno in un certo senso allegorico in cui viene rappresentato solo ciò che è funzionale al significato ultimo.
Non solo attraverso straniamenti e stravolgimenti del reale si costruiscono spazi sovrannaturali, il visionario consiste in una disposizione d’ animo di chi guarda, e di chi dipinge ovviamente, ad andare oltre la mera raffigurazione naturalistica e a scoprire nuove dimensioni che sono non sovrumane ma tanto più umane quanto più al loro interno l’ uomo scopre qualcosa di sé.

Selvaggia M.
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